La supervisione per i professionisti della relazione d'aiuto

a cura della Dott.ssa Alessia Damiani

 Coloro che svolgono una professione di cura e d’aiuto entrano in relazione con molteplici dinamiche nell'interazione con la struttura organizzativa e con le équipe di lavoro (spesso multidisciplinari) e nel rapporto con l’utenza e i familiari.

Il contatto quotidiano con la condizione stessa di necessità dell'utenza (a volte carica di disagio, vulnerabilità, dolore) crea spesso situazioni di tensione emotiva e di stress dovute all’evocazione costante dell'immagine della sofferenza, della perdita, della privazione.

Ciò può facilmente condurre, in tempi e modi più o meno brevi e intensi, a meccanismi di difesa dell'operatore fino ad arrivare alla sindrome da burn-out: l'individuo non dispone più di risorse e strategie comportamentali e/o cognitive adeguate a fronteggiare la sensazione di esaurimento fisico ed emotivo; quindi le strategie di risposta individuale alla situazione professionale, percepita come logorante dal punto di vista psicofisico, diventano inefficaci e/o disfunzionali (sintomi comuni possono essere il senso di usura e di logoramento, la diminuzione della motivazione, rabbia e aggressività, attenuazione dell'impegno, crisi depressive, comportamenti di distacco emozionale e di evitamento, ecc...).

Gli elementi logoranti attengono spesso alle condizioni di lavoro e al divario tra le richieste e aspettative personali e la realtà lavorativa, nonché ai processi affettivi derivanti dal coinvolgimento empatico: la sensibilità dell'operatore spesso fa emergere sentimenti di profonda partecipazione e comprensione per l’utente colpito da sofferenza e in parallelo un forte desiderio di alleviare il dolore o eliminarne la causa, non sempre pienamente realizzabile.

La tutela della salute professionale dell’operatore riguarda quindi prevalentemente il rafforzamento delle capacità di superare le eventuali frustrazioni e di gestire le dinamiche relazionali ed emotive che il lavoro di relazione d'aiuto porta con sé.

Questo lavoro di consapevolezza di sé, delle proprie risorse, dei propri limiti, delle possibilità di scelta e di cambiamento è quindi fondamentale per una costante “manutenzione professionale” dell'operatore che, utilizzando la relazione (e quindi sé stesso) come strumento di lavoro, ha spesso bisogno di momenti di confronto, supporto, riflessione sulle migliori strategie e la più alta efficacia delle azioni di intervento professionale.

Esistono dei fattori di rischio personali importanti insiti nelle professioni di aiuto, come ad esempio: i problemi emotivi irrisolti, correlati con esperienze dell’utente e non elaborati da parte dell'operatore; l'eccessiva identificazione con l’utente; la sensibilità empatica verso la sofferenza altrui; la continua esposizione all'esperienza dolorosa dell'altro; la difficoltà a gestire i confini; l'incapacità a dire di no; la poca consapevolezza dei propri bisogni e assertività; ecc...

Due fattori importanti nel limitare questo stress derivante dall'aiutare gli altri sono:

  • la capacità di separazione emotiva dall'angoscia dell’utente
  • la soddisfazione per il lavoro di aiuto

È importante riconoscere questi rischi professionali e trovare un sostegno per prevenire ed eventualmente affrontare le problematiche derivanti dal costo emotivo del “prendersi cura”. Tali misure possono includere lo sviluppo della conoscenza di sé, la comprensione della propria capacità di tolleranza allo stress, l'accrescimento delle informazioni e la coscienza della propria vulnerabilità, un adeguato supporto ambientale, la formazione, la programmazione, la supervisione professionale individuale e/o di gruppo.

Le modalità per accedere alla supervisione sono le seguenti:

  • l’ente finanzia la supervisione, organizzandola;
  • l’ente riconosce le ore di supervisione, non finanziandola;
  • gli operatori, in gruppo, autonomamente, scelgono di trovare un supervisore;
  • gli operatori accedono a gruppi di supervisione creati da un supervisore, pagando la propria quota;
  • il singolo operatore fa supervisione

Ma vediamo nel dettaglio in che cosa consiste la supervisione.

Il lavoro di supervisione individuale e di gruppo ha come obiettivi principali:

  • fornire un supporto concreto per gli operatori impegnati in attività di assistenza (con risposte e strumenti autoprodotti dai singoli e/o dal gruppo);
  • analizzare le relative problematiche psicologiche e relazionali (in particolare delle dinamiche

etiche e affettive degli operatori nei confronti degli utenti, delle famiglie, dei colleghi, dell'ente).

La supervisione offre uno spazio d’ascolto e un momento di crescita, lavorando prevalentemente sulla consapevolezza, la comprensione, la comunicazione dei bisogni – manifesti e inespressi – dell'operatore, assicurando un contenimento emotivo per i sentimenti correlati alle situazioni di disagio (angoscia, rabbia, sensi di colpa, tristezza, confusione, collera, senso di inadeguatezza e impotenza).

Gli incontri individuali sono maggiormente finalizzati all'analisi e all'elaborazione delle problematiche incontrate nei vari rapporti di lavoro (con utenza, familiari, colleghi, struttura) e al miglioramento del proprio comportamento nelle singole situazioni, per una più funzionale gestione delle dinamiche, delle emozioni, degli interventi professionali.

Nelle riunioni di gruppo lo scambio di esperienze tra gli operatori permette una riflessione e un confronto sull'operatività, sia in termini di risoluzione di criticità, sia nell'ottica della condivisione di buone prassi, strumenti e strategie. Il fine ultimo è sempre quello dell'aumento di efficacia rispetto alla gestione dei casi e di maggior senso di empowerment: incremento dell'autostima, senso di autoefficacia ed emersione delle risorse latenti, riappropriandosi del proprio potenziale, valorizzandosi, migliorando così il benessere globale dell'operatore.

Il gruppo permette anche di ricercare insieme modalità di intervento e di relazione più efficaci e consapevoli, per esempio nella lettura del senso di alcuni comportamenti, di sensazioni e vissuti più emotivi, che accompagnano e colorano costantemente il contatto e la relazione con l’utente in situazioni con sfaccettature diverse ma accomunabili.

Lo spazio individuale si può affiancare a quello di gruppo, amplificandone gli effetti benefici e aiutando ad approfondire alcune tematiche personali.

La realtà di un lavoro complesso richiede un approccio integrato per l’acquisizione di un bagaglio di conoscenze tecniche, esperienziali e relazionali specifiche sui problemi dell’utenza, nell’ottica di supportare un operatore in grado di elaborare strategie e percorsi individualizzati, in grado di rendere disponibili e di mobilitare, in modo globale e sinergico, tutte le risorse e le potenzialità presenti.

Le tecniche utilizzate possono spaziare all’interno di role-playing, discussioni di gruppo, brainstorming creativo, situazioni simulate e varie tecniche di partecipazione attiva. Il lavoro costante di counseling individuale e di gruppo che sta alla base della metodologia di supervisione rende questo spazio altamente professionalizzante e benefico soprattutto nella costanza di un percorso.

La supervisione è assieme diritto e dovere professionale dell’operatore: nei confronti di sé stesso come professionista e nei confronti dell’utente.

Fa parte della formazione continua come strumento metariflessivo che attiva circoli ricorsivi tra le competenze acquisite sul campo e le teorie sottese alle prassi, ma soprattutto che stimola e sostiene la rilettura delle pratiche nei termini dell'intenzionalità e della progettualità.

La supervisione professionale dovrebbe, quindi, essere la base essenziale di tutti i servizi sociali, sanitari ed educativi che vogliano realmente perseguire il benessere globale di utenti, operatori, servizi, comunità.

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